martedì 16 ottobre 2007

FINALMENTE SONO ARRIVATI I PRIMI DECRETI DI G.P.G. ITTICA PER LE GUARDIE DELL' A.N.P.A.N.A.

Dopo tanto penare, finalmete sono arrivati i primi Decreti Provinciali per le nostre Guardie dell'A.N.P.A.N.A.
A tutti loro, auguro vivamente di poter operare con "diligenza" per poter arrivare quotidianamente allo scopo che tutti noi ci siamo prefissi, la protezione della natura e di tutto l'ambiente che ci circonda.
Sentitamente
Ispett.Capo Siortino Salvatore
Distaccamento Operativo Polizia Ecozoofila A.N.P.A.N.A. Isola d'Ischia

Bari: bruciata auto delle Guardie dell'ANPANA






Un'automobile di servizio della Anpana onlus, Associazione nazionale protezione animali natura ambiente, e' stata distrutta nella scorsa notte da un incendio, di presunta origine dolosa, a Molfetta, in provincia di Bari. L'associazione stigmatizza l'episodio avvenuto ai danni dell'auto di servizio delle guardie ecozoofile che svolgono opera di prevenzione e repressione contro il maltrattamento degli animali. Principali settori d'intervento delle Guardie sono controlli sui maltrattamenti, fiere e mercati, mattatoi, trasporti di animali, controllo degli allevamenti, nonche' tutte le alterazioni dell'ecosistema quali discariche abusive, depauperamento delle aree verdi, uso indiscriminato di pesticidi, violazione alla tutela dei parchi o zone protette, scarichi inquinanti nei fiumi, abusi edilizi.
A Molfetta le guardie ecozoofile sono impegnate nella lotta al randagismo, con controlli sul territorio e con la sensibilizzazione ai possessori di cani ad effettuare l'iscrizione all'anagrafe canina e la relativa mappatura con microchip. ''Il 'fattaccio' accaduto questa notte - dicono l'ispettore regionale Lello Cafaro ed il commissario per Bari Umberto Bressani - evidentemente e' un segno che l'attivita' della nostra associazione non e' 'gradita' a qualcuno. In risposta, ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti, con la speranza che le istituzioni ci siano vicine nel tutelare chi spontaneamente presta attivita' di volontariato nell'interesse della collettivita''.

venerdì 12 ottobre 2007

PARERE SULL'ATTRIBIUBILITA' DELLA QUALIFICA DELLE FUNZIONI DI POLIZIA GIUDIZIARIA ALLE G.E.V.ZOOFILE


Pronunciamento sull'attribuzione di polizia giudiziaria alle guardie volontarie
in materia venatoria della provincia di PESARO URBINO
PROCURA GENERALE
presso la Corte di Appello di Ancona
A S.E. Il PROCURATORE GENERALE
OGGETTO:
Parere sull'attribuibilità della qualifica e delle funzioni di polizia giudiziaria alle guardie ecologiche volontarie zoofile della Provincia di Pesaro e Urbino. Riferimento a prot. n. 205 del 30 gennaio 2007
È stata nuovamente sollevata la questione circa l'attribuibilità della qualifica e delle funzioni di ufficiale o agente di polizia giudiziaria alle guardie zoofile volontarie, munite di decreto di riconoscimento a guardia particolare giurata, rilasciato dalla Prefettura.
Come è noto, con nota del 14 maggio 2004, questa Procura Generale si è pronunziata negativamente sulla medesima questione riguardante le guardie ecologiche volontarie (il quesito era stato posto in termini generali) per il decisivo rilievo che, trattandosi di materia riservata dalla Costituzione (art. 117, comma secondo, lettere H) e L)) alla competenza statale, solo una disposizione ad hoc in materia di giurisdizione e di norme processuali, come quella (fondamentale) contenuta nell'art. 57 c.p.p., può attribuire ad un soggetto, pure investito dei poteri di vigilanza e di controllo, la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria e le correlative funzioni. In difetto di una norma siffatta, le guardie volontarie (anche quelle munite della qualifica di guardia giurata e, come tali, pubblici ufficiali) non sono agenti di polizia giudiziaria.
Nella nuova richiesta di parere, traendo spunto dalla mancata convalida del sequestro di un richiamo elettromeccanico di uccelli migratori, si fa specifico riferimento alle guardie ecologiche volontarie del Servizio Caccia e Pesca e vengono evidenziate (ed allegate) alcune diverse interpretazioni che tendono a riconoscere in capo alle guardie particolari giurate le qualifiche di pubblici ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria al momento del loro intervento per reprimere un reato.
La premessa, comune a tali orientamenti, consiste nel ritenere che, a prescindere dall'investitura formale o nominale, la qualifica di agente di polizia giudiziaria spetti ai soggetti che, in virtù di disposizioni normative vigenti, svolgono in tutto o in parte compiti riconducibili all'art. 55 c.p.p. In altri termini, l'attribuzione della qualifica sarebbe conseguenza diretta non già di una formale investitura del codice di rito o di leggi speciali, bensì delle funzioni che il personale è chiamato a svolgere, allo specifico fine di esercitare i compiti di vigilanza e di controllo loro generalmente affidati in ambito regionale o provinciale.
Tali orientamenti si pongono in contrasto con insuperabili principi di rango costituzionale.
In primo luogo, come si è detto, le Regioni e gli altri enti territoriali sono privi di competenza in materia per espressa previsione costituzionale (il richiamato art. 117, comma secondo lettere H) e L)) e far dipendere la qualifica di agente di polizia giudiziaria dai compiti in concreto affidati alle guardie volontarie dagli Enti territoriali equivale, nella sostanza, ad eludere il principio della riserva di legge statale.
Inoltre, interferendo i compiti affidati alle guardie volontarie sui diritti fondamentali delle persone tutelati dalla Costituzione (articoli 13 e ss.), non sono praticabili interpretazioni né analogiche né estensive operando, proprio in considerazione della possibilità di incidere su tali diritti, una (altrettanto) rigorosa riserva di legge.
È da escludere, pertanto, che le guardie ecologiche volontarie, qualunque sia il settore di loro competenza, possano esercitare i poteri autoritativi attribuiti dall'art. 55 c.p.p. agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria, rispetto ai quali (come già sottolineato nella nota del 14 maggio 2004) le stesse hanno solo funzioni sollecitatorie e di collaborazione subordinata (o servente).
Va ricordato che la Corte Costituzionale:
con la sentenza n. 88 del 1987, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 6 della legge della Provincia Autonoma di Trento in data 26 luglio 1973 n. 18 (Norme per la disciplina della raccolta dei funghi), nella parte in cui si attribuiva alle guardie ecologiche volontarie il potere di intimare l'apertura di mezzi di trasporto, che costituiscono luoghi di privata dimora;
con la sentenza n. 313 del 2003, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, commi 2 e 3; 2, comma 5 (nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera b), della legge della Regione Lombardia n. 4 del 2002), e 4, comma 3, della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 2 (Istituzione del Corpo forestale regionale), nella parte in cui la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, a norma dell'art. 57 del codice di procedura penale, era riconosciuta al personale del Corpo forestale regionale per lo svolgimento dei compiti di vigilanza e controllo previsti dall'art. 2.
D'altra parte, l'art. 57, comma terzo, del nuovo codice di procedura penale, riconoscendo la qualifica di polizia giudiziaria anche alle persone cui le leggi ed i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'art. 55, evidenzia la necessità di tener conto delle leggi statali disciplinanti le specifiche materie, alle quali occorre fare riferimento.
In siffatto contesto normativo, deve ritenersi che, anche per le guardie ecologiche volontarie zoofile, il problema debba essere risolto proprio partendo dalle leggi che espressamente attribuiscono la qualifica di polizia giudiziaria solo ad alcuni soggetti, mentre ad altri riconoscono il più lato potere di vigilanza e di segnalazione di infrazioni.
Le leggi da prendere in considerazione sono: la legge 11 febbraio 1992, n. 157, detta anche legge-quadro sulla caccia, e la legge 20 luglio 2004, n. 189, recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.”.
La legge-quadro sulla caccia (n. 157/1992), all'art. 27), contempla e distingue:
alla lettera a) del primo comma, gli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni, cui è riconosciuta espressamente la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza;
alla lettera b), le guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali e presenti nel Comitato tecnico faunistico - venatorio, e quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del T.U. di P.S.
La netta distinzione tra le previsione delle lettere a) e b) del primo comma in ordine al riconoscimento della qualifica di agente di polizia giudiziaria porta a ritenere che ai corpi previsti nella lettera b) non possa essere riconosciuta la predetta qualifica.
Il secondo comma prevede l'esercizio delle funzioni di vigilanza venatoria anche in capo a ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale di Stato, alle guardie addette ai parchi nazionali, agli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria (tout court), alle guardie giurate comunali, forestali e campestri, ed alle guardie private riconosciute dal T.U. di P.S., oltre che alle guardie zoofile ed ecologiche riconosciute dalle leggi regionali.
Sicuramente tutti i soggetti di cui all'art. 27 della legge possono venire a conoscenza di determinate fattispecie di reato, ed in particolare delle contravvenzioni previste e sanzionate dall'art. 30, ma solo per alcuni di tali soggetti viene espressamente riconosciuta la qualifica di agente di polizia giudiziaria, mentre ad altri spetta la qualifica di pubblici ufficiali incaricati di compiti di polizia amministrativa.
Tale interpretazione trova ulteriore conforto nel quinto comma dell'art. 28, che disciplina i compiti degli organi di vigilanza non esercitanti funzioni di polizia giudiziaria, specificando che: “Gli organi di vigilanza che non esercitano funzioni di polizia giudiziaria, i quali accertino, anche a seguito di denuncia, violazioni delle disposizioni sull'attività venatoria, redigono verbali, conformi alla legislazione vigente, nei quali devono essere specificate tutte le circostanze del fatto e le eventuali osservazioni del contravventore, e li trasmettono all'ente da cui dipendono ed all'autorità competente ai sensi delle disposizioni vigenti.”.
Quindi, per quanto riguarda le associazioni volontarie di protezione ambientale o venatoria di cui all'art. 27 c. 1 lett. b), nemmeno in relazione all'esercizio delle funzioni di vigilanza in materia di caccia, può riconoscersi la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, mentre non esiste alcuna specifica previsione di legge che attribuisca a tali corpi la medesima qualifica nella prevenzione e repressione dei reati ambientali disciplinati dalle L. 319/76 e D.Lvo 22/97.
Ogni tentativo, poi, di fondare l'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria che faccia riferimento al T.U. di P.S. deve ritenersi improprio, in quanto tale normativa disciplina e considera le guardie particolari giurate esclusivamente come investite della tutela della proprietà di enti privati o pubblici (art. 133), con inibizione all'esercizio di funzioni pubbliche (art. 134, quarto comma) e con potere di stendere i verbali in funzione solo accertativa (fino a prova contraria, art. 255) e non certificativa (fino a querela di falso, art. 476 c.p.).
La tesi, qui sostenuta, che nega la qualifica di agenti di polizia giudiziaria in capo alle guardie giurate zoofile - qualifica che, comunque, non le abiliterebbe al sequestro dei mezzi per l'esercizio della caccia, che è attività riservata agli ufficiali di polizia giudiziaria - è stata a lungo seguita, e con costanti pronunciamenti, dalla Suprema Corte di Cassazione.
In particolare, nella sentenza n. 613 del 27 febbraio 1995 si afferma che “l'Ente Nazionale Protezione Animali (E.N.P.A.) a seguito del d.P.R. 31 marzo 1979, perduta la personalità giuridica di diritto pubblico, continua ad esistere come persona giuridica di diritto privato, sicché i suoi agenti si presentano come Guardie Giurate volontarie di un'Associazione protezionistica nazionale riconosciuta e ad essi la legge sulla caccia - che ha carattere di specialità rispetto alle norme contenute nel vigente codice di rito penale - conferisce espressamente i poteri di vigilanza e di accertamento indicati nei commi primo e quinto dell'art. 28 legge n. 157 del 1992, ma non anche quello di procedere al sequestro penale previsto dal comma secondo dello stesso articolo, riservato agli agenti ed ufficiali di P.G., qualifica che essi non hanno.”.
Analogamente, nella sentenza n. 1519 del 27 marzo 1996 si afferma che: “Le guardie zoofile dell'Ente Nazionale Protezione animali, che ha la natura di persona giuridica di diritto privato, non possono in nessun caso assumere la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria e non possono procedere al sequestro delle armi quando rilevano un'infrazione alla legge sulla caccia in applicazione dei poteri di vigilanza e di accertamento indicati dall'art. 28 comma primo e quinto della legge 11 novembre 1992 n. 157 che la legge conferisce loro.”.
In contrasto con il precedente (consolidato) orientamento, nella sentenza n. 6454 del 2 febbraio 2006 si afferma l'opposto principio della spettanza della qualifica, sostenendosi che“… la L. 11 febbraio 1992 n. 157 attribuisce espressamente alle stesse i compiti di vigilanza venatoria sulla applicazione della medesima legge, in essi ricomprendendosi il potere ispettivo, quello di controllo della fauna abbattuta o catturata ed il potere di accertamento dei reati, cui è necessariamente collegato il dovere di acquisire gli elementi probatori e di impedire che i reati vengano portati ad ulteriori conseguenze …”).
Nella motivazione della sentenza si legge che “il ricorso (proposto dal Procuratore della Repubblica di Salerno avverso ordinanza del Tribunale del riesame, con la quale era stato annullato il decreto di convalida del sequestro delle armi e delle munizioni effettuato da guardie volontarie zoofile in relazione all'art. 30, lettera h) della legge n. 157 del 1992) è “… fondato alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui le guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente riconosciute dal Ministero dell'Ambiente (come il WWF) hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria "perché la L. 11 febbraio 1992, n. 157, espressamente attribuisce ad esse un compito di vigilanza venatoria <>, compreso l'art. 30 relativo alle sanzioni penali (vedi art. 27, lett. D) …”.
Tale interpretazione, che in realtà rappresenta un revirement rispetto al precedente orientamento, non può essere in alcun modo condivisa perché parte dall'erroneo presupposto che i compiti affidati alle guardie volontarie venatorie, e in particolare quello di accertare le contravvenzioni previste e sanzionate dall'art. 30 della legge n. 175/1992 e di assicurarne le prove, possano essere svolti solo da un ufficiale o da un agente di polizia giudiziaria, mentre (come si è detto) l'art. 27 della stessa legge riconosce alle guardie zoofile le predette funzioni di vigilanza in quanto pubblici ufficiali investiti di competenze di polizia amministrativa.
D'altra parte, laddove la legge ha ritenuto di attribuire competenze di polizia giudiziaria in materia faunistico ambientale lo ha fatto espressamente. Lo si desume, in particolare, dall'esame della legge 20 luglio 2004, n. 189, recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”. Il secondo comma dell'art. 6 di detta legge dispone, infatti, con molta chiarezza, che: “La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”.
L'affidamento è, tuttavia, contrassegnato da limitazioni che restringono considerevolmente, al punto da renderla scarsamente rilevante, l'attività di polizia giudiziaria che detti soggetti possono svolgere.
Anzitutto, gli agenti delle associazioni, in possesso del solo decreto di nomina rilasciato dalla Provincia, non possono svolgere attività di vigilanza in materia zoofila, senza aver prima richiesto ed ottenuto il decreto prefettizio di nomina, che li abiliti a svolgere i suddetti compiti di vigilanza.
Inoltre, l'attività di polizia giudiziaria di tali guardie giurate è limitata alle sole fattispecie penali che riguardino gli animali d'affezione, vale a dire esclusivamente i cani e i gatti.
L'estensione, proposta da alcuni, agli “animali da compagnia” comporterebbe una applicazione analogica o estensiva della norma penale, che viola il disposto dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (norma per la quale le leggi penali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerate).
Di conseguenza, il preciso riferimento agli “animali di affezione”, contenuto nell'art. 6 legge 189 del 2004, non può che rimandare all'unico testo normativo statale che definisce tali animali, vale a dire alla legge n. 281 del 14 Agosto 1991 “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo” che appunto prevede solo i cani e gatti quali “animali da affezione” (cfr. art. 2).
Sono, del pari, da ritenere non fondate le interpretazioni che attribuiscono all'inciso “con riguardo agli animali di affezione” il significato di “con particolare attenzione, con particolare rispetto”, per sostenere che le guardie giurate abbiano competenza di polizia giudiziaria con riferimento a tutti gli animali, anche se con particolare attenzione a quelli di affezione. Il tenore letterale della norma è ben chiaro e vale a precludere tale ipotesi di interpretazione estensiva, da ritenersi vietata in materia penale (come più volte detto).
In definitiva, l'art. 6, comma secondo della legge 189 del 2004 contiene la limitazione dei poteri delle guardie giurate delle associazioni sotto due profili:
- un primo profilo attiene al fatto che tali guardie possono esercitare i poteri di accertamento dei reati, raccolta delle prove e quant'altro, solo con riferimento agli animali da affezione;
- un secondo profilo attiene alla nozione di animali da affezione, da intendersi limitata ai soli cani e gatti.
Ne consegue l'esclusione, dall'ambito di operatività delle guardie giurate delle associazioni protezioniste e zoofile riconosciute, dell'attività in favore di tutti gli altri animali (che sono - ovviamente - la maggioranza delle specie), compresi quelli che rientrano nel più ampio concetto di “animali da compagnia”.
Di tali animali da compagnia si rinvengono, infatti, diverse definizioni, come quella contenuta nel regolamento CEE n. 998 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003, relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia, ovvero come quella, contenuta nell'Accordo Stato-Regioni, sul benessere degli animali da compagnia e pet-therapy del 6 febbraio 2003.
In particolare, ai sensi dell'art. 1 dell'Accordo predetto, il concetto di animale da compagnia è certamente più ampio di quello di animale d'affezione. Ai sensi del comma 2 - lettere a) e b) di tale articolo 1, è "animale da compagnia ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall'uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all'uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione, e impiegati nella pubblicità” (lettera a), con l'ulteriore precisazione che “gli animali selvatici non sono considerati animali da compagnia” (lettera b).
Ad ulteriore conforto dell'interpretazione letterale che limita i poteri di polizia giudiziaria delle guardie giurate ai soli animali da affezione (cani e gatti), si possono ricordare i lavori parlamentari. Invero, gli emendamenti intesi ad ampliare tali poteri sono stati bocciati. La qual cosa fa ulteriormente propendere per una interpretazione restrittiva della disposizione in questione, l'unica peraltro che consente di delimitare, in modo inequivoco, i limiti effettivi posti dalla legge in esame ai poteri di vigilanza delle guardie volontarie giurate.
Interpretazioni più estensive, non supportate tuttavia da precisi riferimenti contenuti in leggi statali, esporrebbero detti soggetti ad ipotesi di usurpazione di funzioni, penalmente sanzionate dall'art. 347 del codice penale, che punisce, con la reclusione fino a due anni, “… chiunque usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti a un pubblico impiego …”.
Potrà, peraltro, accadere che le guardie giurate delle associazioni, legittimate a svolgere attività di polizia giudiziaria solo per “animali da affezione”, siano chiamate a collaborare, quali ausiliari ex art. 139 T.U. di P.S., da parte degli agenti e ufficiali di pubblica di sicurezza o di polizia giudiziaria, per l'accertamento dei reati che coinvolgano animali diversi. In tal caso, le guardie giurate delle associazioni saranno tenute, per preciso obbligo di legge, ad ottemperare a tutte le richieste alle stesse rivolte.
Una previsione legislativa che consente una autonoma attività per tali guardie giurate, sia pure di contenuto limitato, ma comunque per la tutela di animali diversi dagli animali da affezione (cani e gatti), può - tuttavia - rinvenirsi nell'art. 331 del codice di procedura penale “Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio “.
La norma prevede che qualora i pubblici ufficiali (357 c.p.) e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) (categorie nelle quali in ogni caso rientrano le guardie giurate delle associazioni), nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, acquisiscano notizia di un reato perseguibile di ufficio, debbono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito; la denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al Pubblico Ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria (107 att. e 221 coord. c.p.p.).
In tale ipotesi, la guardia giurata dell'associazione protezionista o zoofila che prenda notizia di un fatto penalmente rilevante e perseguibile d'ufficio è obbligata ex art. 331 c.p.p. a presentare denuncia alla Procura della Repubblica ovvero ad un ufficiale di polizia giudiziaria.
Quanto al contenuto della denuncia esso, così come indicato dall´articolo 332 del codice di procedura penale, è costituito dalla esposizione degli elementi essenziali del fatto nonché, quando è possibile, dalle generalità, dal domicilio e da quanto altro possa portare alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti
Per tale ragione si può ritenere che un minimo nucleo di elementi di prova del reato che coinvolga animali diversi dagli animali d'affezione possa costituire oggetto di denuncia anche da parte delle guardie giurate delle associazioni zoofile e protezioniste riconosciute.
Per completezza va ricordato che tutti i reati di cui alla legge 189 del 2004 sono perseguibili d'ufficio, restando a perseguibile a querela solo l'ipotesi, ormai residuale, dell'art. 638, primo comma, c.p. (uccisione o danneggiamento di animali altrui).
Può affermarsi, conclusivamente, che le guardie volontarie (compreso quelle delle associazioni deputate alla vigilanza venatoria previste dalla legge statale sulla caccia), in regola con il decreto prefettizio, con riferimento allo specifico settore concernente la tutela degli animali d'affezione (cani e gatti), possono svolgere attività di vigilanza zoofila e hanno, riconosciuta la qualifica di ufficiali o di agenti polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 57, comma terzo, c.p.p.
Riassumendo, al quesito posto dal coordinatore delle guardie ecologiche della Provincia di Pesaro e Urbino, pare corretto rispondere che alle guardie volontarie zoofile spetta la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria con competenza speciale o settoriale limitatamente ai compiti effettivamente loro affidati dalla legge n. 189 del legge 20 luglio 2004, recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, mentre la predetta qualifica non spetta per le funzioni di vigilanza attribuite dalla n. 157 della legge 11 febbraio 1992, c.d. legge-quadro sulla caccia.
La diversità delle conclusioni raggiunte evidenzia come il quesito non possa essere risolto in base al conferimento di compiti di vigilanza in materie nelle quali sono previste fattispecie di reato. È assolutamente necessario tener conto delle leggi statali disciplinanti dette materie. Quando la legge ha ritenuto di attribuire compiti di polizia giudiziaria in materia faunistico-ambientale lo ha fatto espressamente. L'interpretazione formalista è anche rispettosa delle garanzie del cittadino, considerato che si tratta di potestà di particolare cogenza, il cui esercizio può incidere, in modo diretto ed irreversibile, su beni primari come la libertà di movimento, di autodeterminazione e quella di riservatezza. È, in ogni caso, da escludere che tali poteri possano essere conferiti in base a normative regionali o locali, vertendosi in materia di esclusiva competenza statale.
Ancona, lì 27 febbraio 2007
Il Sostituto Procuratore Generale
dott. Manfredi Palumbo

ANAGRAFE CANINA IN COSA CONSISTE E COME PROCEDERE:


Anagrafe CaninaL’Anagrafe Canina è istituita ai sensi della Legge Regionale 24 novembre 2001
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Ai sensi della Legge Quadro n°281/91 e della Legge Regionale n°16/2001 è’ istituita in ogni AA.SS.LL. del territorio della Regione Campania l’Anagrafe canina, alla quale il proprietario o detentore o qualsiasi titolo, residente nella Regione o dimorante per un periodo di tempo superiore a 90 giorni, deve iscrivere il proprio cane. L’iscrizione deve avvenire entri il termine di 60 giorni dalla nascita o dal possesso del cane. L'iscrizione consiste nella registrazione anagrafica completa (sesso, razza, taglia, mantello, data di nascita, ecc.) dell'animale da parte del legittimo proprietario, che ne diventa intestatario e responsabile a tutti gli effetti.Lo scopo della registrazione anagrafica è quello di combattere il fenomeno dell'abbandono degli animali.Contestualmente alla registrazione, all'animale viene apposto, in maniera indolore, un microchip elettronico. Il microchip è un piccolo dispositivo elettronico innocuo, di forma cilindrica di 11 millimetri di lunghezza e 2 millimetri di diametro, rivestito di materiale biocompatibile, che viene iniettato sotto la cute del cane dietro l'orecchio sinistro con una speciale siringa sterile monouso, al suo interno contiene un codice numerico unico ed individuale che identifica inequivocabilmente il cane stesso. A cura dell’A.S.L. competente per territorio, all’atto dell’iscrizione, viene compilata e rilasciata una cedola identificativa al proprietario o detentore che deve seguire il cane nei trasferimenti di proprietà o detenzione. Le generalità del proprietario o detentore e i dati segnaletici del cane iscritto (sesso,razza,taglia,mantello,data di nascita), unitamente al codice assegnato sono registrati, a cura dei Servizi Veterinari della ASL competente, nella Banca Dati Regionale dell’Anagrafe Canina e quindi tali dati sono riversati, in automatico, nella Banca Dati Nazionale istituita presso il Ministero della SaluteIl microchip viene applicato gratuitamente presso le strutture delle AA.SS.LL. o presso il veterinario di fiducia a spese del proprietario. Qualora il microchip risulti indecifrabile il proprietario è tenuto a farlo reimpiantare.Il proprietario o detentore del cane è tenuto a segnalare per iscritto all’A.S.L., entro quindici giorni, la variazione della propria residenza o domicilio o il trasferimento di proprietà del cane. Il proprietario o detentore del cane è tenuto a segnalare per iscritto all’A.S.L., entro cinque giorni, il suo eventuale smarrimento o decesso. I medici veterinari liberi professionisti che, nell’esercizio della loro attività, vengano a conoscenza dell’esistenza di cani non iscritti all’Anagrafe, hanno l’obbligo di segnalare la circostanza all’A.S.L. competente e di informare il proprietario degli adempimenti previsti dalla Legge. Sono esentati dall’obbligo dell’iscrizione all’Anagrafe i cani di proprietà delle Forze Armate e dei corpi di Pubblica Sicurezza.
Documentazione necessaria per l’iscrizione:
documento di identità del proprietario in corso di validità;
codice fiscale.
Sanzioni e ammende
L'iscrizione all'anagrafe canina da parte del proprietario è obbligatoria ai sensi dell'art. 4 della L.R. 16/2001 e l'inosservanza prevede una sanzione amministrativa.
Chiunque omette di iscrivere il proprio cane all’Anagrafe è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma pari ad euro 154,93. Per la violazione delle seguenti disposizioni : mancata comunicazione del trasferimento di proprietà, della variazione del proprio domicilio, dello smarrimento o furto, del decesso del proprio cane si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma pari ad euro 309,27.

mercoledì 10 ottobre 2007


Il danno all’ambiente nel T.U.tra interesse diffuso e posizioni soggettive
Il commento
Il danno all’ambiente come bene unitario e la sua tutela da parte degli enti esponenziali di interessi collettivi
Le sentenze offrono lo spunto per alcune considerazioni sul nuovo regime relativo al danno ambientale, cosı` comedelineato dal D.Lgs. n. 152/2006 (1).
Tale nuovo regime infatti, per il modo in cui e` stato configurato, per le definizioni che introduce di danno all’ambiente e per le scelte di fondo seguite circa i soggetti legittimati a farlo valere, comporta in certa misura un ripensamento del legislatore rispetto alle scelte operate
Le massime, i principi
I. Corte di Cassazione Penale sez. III, sentenza 15 gennaio 2007, n. 554
Pres. E. Papa - Rel. C. Squassoni
Danno ambientale - Risarcimento danni - Associazioni e comitati - Associazioni ecologiste - Legittimazione processuale - Presupposti - Art. 13, Legge n. 349/1986 - C.d. sostituzione processuale.
Le associazioni ambientaliste portatrici di interessi superindividuali possono intervenire nei procedimenti per reati di danno ambientale, con poteri identici a quelli della persona offesa, della quale e` pero` necessario il costante consenso come requisito della loro legittimazione processuale, sicche´, ove questo manchi, l’avviso circa la richiesta di archiviazione non e` dovuto.
Associazioni e comitati - Associazioni ambientaliste, partecipazione al processo penale - Due differenti istituti
- Presupposti di legge - Art. 91 c.p.p.
Sussistono due differenti istituti che consentono l’accesso al giudizio penale di formazioni sociali ambientaliste portatrici di interessi superindividuali tali sodalizi, quando sussistano i presupposti di legge, possano costituirsi parti civili oppure possono intervenire nel processo a sensi dell’art. 91 c.p.p., con poteri identici a quelli della persona offesa al cui consenso e` subordinato l’esercizio dello intervento stesso.
II. Corte di Cassazione Penale sez. III, sentenza 3 novembre 2006, n. 36514
Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. Censi ed altri
Danno ambientale - Soggetto privato -Legittimazione

Anche la persona singola o associata e non solo i soggetti pubblici sono legittimati al risarcimento del danno ambientale in nome dell’ambiente come diritto fondamentale di ogni uomo e valore di rilevanza costituzionale.
Nota:
(1) Sulle problematiche sollevate dal nuovo D.Lgs. n. 152/2006, anche per cio`
che riguarda i profili relativi al danno all’ambiente, si veda:
– Commento al Testo Unico Ambientale, a cura di F. Giampietro, Iposa, 2007
Testo Unico
Legittimazione ad agire
AMBIENTE & SVILUPPO
7/2007 577
nel 1986, scelte potenzialmente incidenti sulla «natura» stessa del bene oggetto di tutela.
E `utile ricordare che il concetto di ambiente cui faceva riferimento il legislatore nella legge n. 349/1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente, prendeva spunto, come e` naturale, dall’elaborazione dottrinale preesistente alla stessa.
Nella dottrina risalente erano infatti individuabili almeno due orientamenti, a seconda che all’ambiente fosse riconosciuto o meno rilievo giuridico quale bene autonomo,
soggetto di specifica e separata tutela rispetto alle suesingole componenti.
Al primo orientamento si riportavano coloro che concepiscono il concetto di ambiente non in termini unitari,bensı` in modo frazionato.
Tale dottrina trovava conferma nella disciplina positiva, che, soprattutto in origine, aveva affrontato le questioni ambientali in maniera settoriale e frammentata (2).
Altri autori si erano parzialmente uniti a questa concezione, riferendosi talora alle «utilita` sottese» alle leggi di tutela, ovvero ai principi costituzionali enunciati negli articoli
9 e 32 della Costituzione (3).
Al secondo orientamento si ascrivevano invece coloro che, gia` prima dell’entrata in vigore della legge n. 349/ 1986, ipotizzavano una concezione unitaria dell’ambiente, affermando che l’ambiente debba essere pur sempre inteso come un «diritto dell’uomo, attributo fondamentale
della personalita` e parallelo dovere di solidarieta` sociale» (4).
La legge n. 349/1986 sposava, all’art. 18, una tutela dell’ambiente nel suo complesso, certamente inteso come bene unitario, anche se non offriva alcuna definizione di tale bene.
La natura del bene ambiente come bene «unitario», collettivo e superindividuale, si rifletteva anche sulla legittimazione ad agire per la tutela del medesimo predisposta dalla legge n. 349/1986, all’interno dello schema generale dell’azione aquiliana di cui all’art. 2043, cod. civ..
Tale legittimazione spettava pertanto, oltre che allo Stato, agli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo.
La legittimazione degli enti territoriali era autonoma e disgiunta, non configurandosi in proposito un litisconsorzio necessario tra Stato e ente territoriale (5).
Alle associazioni ambientaliste erano riconosciuti soltanto i seguenti poteri: quello di denuncia, ex art. 18, quartocomma.
Quello di intervento in sede civile e in sede penale, ex art. 18, quinto comma, prima parte, e quello di ricorso insede amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi dell’ambiente, ex art. 18 quinto comma, seconda parte.
Va peraltro ricordato che gli articoli 91 e 92 del codice di procedura penale consentono un intervento delle associazioni «portatrici di interessi» accanto alla persona offesa dal reato, consentendo cosı` alle stesse di rivestire un ruolo nel procedimento penale.
La legge n. 265/1999 (attualmente art. 9, comma 3, D.Lgs.18 agosto 2000, n. 267), aveva poi portato un sostanzialecambiamento nel sistema introdotto dall’art. 18: (6) all’art. 4, comma 3, la norma ha infatti disposto che:
«Le associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune o alla provincia, conseguenti a danno ambientale.
L’eventuale risarcimento e` liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione».
Secondo la Corte di Cassazione l’art. 18 della legge 349 non avrebbe poi ne´ definito un nuovo diritto, ne´ individuato un nuovo bene giuridico meritevole di tutela, ma si
sarebbe invece limitato a ripartire la legittimazione attiva tra i vari soggetti preposti alla protezione dell’ambiente, bene gia` tutelabile sulla base del solo art. 2043 del codice civile.
Anche la successiva sentenza della Corte di Cassazione civile, sez. III, sentenza 3 febbraio 1998, n. 1087, ha confermato tale approccio interpretativo.
A tale impostazione «olistica» dell’ambiente si aggiungeva poi la teorica elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa in tema di interessi diffusi e di interessi collettivi, secondo cui gli interessi diffusi, che sono in genere comuni a tutti gli individui di una formazione sociale o addirittura della comunita` nazionale o internazionale, sono privi di tutela giurisdizionale, non
Note:
(2) Si vedano:
– B. Caravita, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001, pag. 19;
– M. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Diritto e
ambiente. Materiali di dottrina e giurisprudenza, G. Alpa e M. Almerighi (a
cura di), Padova, 1984, pag. 37.
(3) Autore della prima teoria:
– V. Onida, La ripartizione delle competenze per l’ambiente nella pubblica
amministrazione, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1986 pag. 11.
Quanto alla seconda, si veda:
– E. Capaccioli e F. Dal Piaz, Ambiente (Tutela dell’), in Novissimo Digesto
Italiano, Appendice,1980, pag. 257 e segg.
(4) Si veda:
– Postiglione, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in Rivista trimestrale
di diritto pubblico, 1985, pag. 35
(5) Si veda:
– M. Taruffo, La legittimazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova
disciplina del danno ambientale, pag. 430
(6) Si veda la legge 3 agosto 1999, n. 265, attualmente abrogata.
L’art. 4, comma 3, e` stato recepito dall’art. 9, comma 3, D.Lgs. 18 agosto 2000,
n. 267 - Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
Testo Unico
Legittimazione ad agire
AMBIENTE & SVILUPPO
578 7/2007
essendo suscettibili di appropriazione individuale, e quindi
«adespoti», cioe` privi di titolari.
Da un processo di soggettivizzazione degli interessi
diffusi nascerebbero quindi gli interessi collettivi, suscettibili
di tutela giurisdizionale, in quanto trovano titolarita` in
enti esponenziali capaci di agire, che si distinguono tanto
dalla comunita` generale quanto dai singoli associati nell’organizzazione.
Come noto, la Cassazione (7), ha poi statuito che anche
la lesione di un interesse legittimo puo` essere fonte di
responsabilita` aquiliana, giacche´ il danno ingiusto risarcibile
ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. e` quello che si risolve
nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento,
a prescindere dalla sua qualificazione formale,
e in particolare senza che assuma rilievo la qualificazione
dello stesso in termini di diritto soggettivo.
Ne deriva che anche gli enti esponenziali di interessi
collettivi possono essere danneggiati (in senso proprio)
da attivita` lesive degli interessi di cui sono portatori, e
quindi agire per la tutela dei medesimi.
La tutela degli interessi diffusi
nel D.Lgs. n. 152/2006
Dalla lettura delle norme di cui agli artt. 299 e segg.,
D.Lgs. n. 152/2006 si desume ora una riserva a favore
dello Stato, e segnatamente del Ministero dell’Ambiente
e del Territorio, circa i poteri di tutela preventiva
e riparatoria del danno ambientale.
Esso infatti viene visto come l’organo dell’amministrazione
centrale che puo` e deve in prima battuta disporre tutti
gli interventi a tutela dell’ambiente, al punto che gli enti
territoriali possono in primo luogo sollecitare i poteri dell’organo
centrale e poi agire (in via amministrativa) solo
in caso di inerzia o di non condivisione delle decisioni
adottate dallo stesso (8).
L’art. 311, comma 1, individua percio` il titolare delle azioni
di risarcimento del danno nello Stato, attribuendo la
legittimazione ad agire solo ed esclusivamente al Ministro
dell’Ambiente, con il patrocinio obbligatorio ed
organico dell’Avvocatura dello Stato.
In ossequio a tale impostazione, e` stato cosı` affermato
da recente giurisprudenza di merito che:
«deve ritenersi assorbente l’iniziativa, autonoma o sollecitata,
dell’organo centrale costituito dal Ministero dell’Ambiente
e del Territorio... per espressa dizione dell’art.
311, legge citata, e` il solo Ministero suddetto che puo`
azionare in sede penale il diritto al risarcimento del
danno ambientale, cio` in coerenza con il dato secondo
cui gli oneri di intervento, riparazione ecc. appaiono sostenuti
in ultima istanza dall’organo centrale .... e l’art.
318, comma 2, lett. A) della legge n. 152/2006, ha
espressamente abrogato, ad eccezione del comma 5,
l’art. 18 della legge n. 349/1986 e successive integrazioni,
che al comma 3 prevedeva la legittimazione degli enti
territoriali in aggiunta allo Stato per l’azione di risarcimento
«del danno anche in sede penale, per cui allo stato
attuale della legislazione e` l’organo dell’amministrazione
centrale legittimato a costituirsi parte civile nel
processo penale in relazione al danno ambientale
» (9).
Le nuove previsioni normative in tema di legittimazione
ad agire potrebbero avere riflessi decisivi sulla qualificazione
del danno all’ambiente e sulla natura giuridica del
bene tutelato, e creano significative ambiguita` .
Il ruolo delle persone fisiche e giuridiche
nel D.Lgs. n. 152/2006
Va infatti osservato come la «riserva» in capo al Ministero
dell’Ambiente disposta dalla nuova normativa non si
presenti poi cosı` assoluta come forse avrebbe inteso in
legislatore.
Sebbene sia chiaro, nel nuovo regime, che i privati non
possono agire contro i diretti responsabili per la tutela
dell’ambiente, essi possono pur sempre ricorrere in
via giurisdizionale per ottenere il risarcimento del «danno
all’ambiente» patito a causa dell’inerzia del Ministero dell’Ambiente
in relazione a «qualsiasi caso di danno ambientale
o di minaccia imminente di danno ambientale».
Con cio` quindi essi possono far valere una responsabilita`
omissiva, la` dove non possono agire per far valere
un comportamento doloso o colposo tenuto con modalita`
attive.
E `
inoltre da ritenere che i soggetti in questione possano
agire per i riflessi che il danno all’ambiente nel suo complesso
arreca alle posizioni soggettive delle persone fisiche
e giuridiche diverse dalla Stato.
Note:
(7) Cass. Civ. SS.UU 22 luglio 1999, n. 500, Com. Fiesole c. Vitali, rv. 530533.
(8) All’art. 309 viene quindi tra l’altro previsto che:
«Le Regioni, le Province autonome e gli Enti locali, anche associati, nonche´ le
persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno
ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al
procedimento relativo all’adozione delle misure di precauzione, di prevenzione
o di ripristino previste dalla parte sesta del presente decreto possono presentare
al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, depositandole
presso le Prefetture - Uffici territoriali del Governo, denunce e osservazioni,
corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno
ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’intervento
statale a tutela dell’ambiente a norma della parte sesta del presente
decreto».
Al successivo art. 310 viene poi previsto che:
«I soggetti di cui all’articolo 309, comma 1, sono legittimati ad agire ... per il
risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del
medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento
del danno ambientale».
(9) Tribunale di Napoli, sent. 12 gennaio 2007.
Testo Unico
Legittimazione ad agire
AMBIENTE & SVILUPPO
7/2007 579
Inoltre, come si e` gia` rilevato in altre sedi, mentre la
nuova norma stabilisce da un lato il principio generale
della titolarita` esclusiva in capo allo Stato della pretesa
risarcitoria in materia di danno ambientale, dall’altro essa
ammette, sul piano concettuale, che anche tutte «le persone
fisiche o giuridiche», oltre che gli enti espressione
della collettivita` locale, possano in realta` essere «colpite
dal danno ambientale» in senso stretto (e cioe` dal danno
all’ambiente cosı` come definito dal D.Lgs. n. 152/
2006, diverso dai diritti soggettivi compromessi dal medesimo
fatto produttivo del danno ambientale).
A cio` si deve aggiungere come anche dopo l’entrata in
vigore del D.Lgs. n. 152/2006, la Cassazione abbia ribadito
che:
«Il danno ambientale non consiste solo in una «compromissione
dell’ambiente» in violazione delle leggi ambientali,
ma anche contestualmente in una «offesa della persona
umana nella sua dimensione individuale e sociale»,
e che pertanto il diritto a costituirsi parte civile spetta
anche «alla persona singol a o associata» (10).
Anche la decisione del Tribunale di Napoli sopra citata ha
affermato che:
«i molteplici profili di valenza del danno all’ambiente secondo
l’art. 300 non escludono in astratto ulteriori
connotazioni di danno riconducibili ad altri titolari
per i quali, pertanto, non puo` elidersi in via pregiudiziale
la legittimazione attiva degli stessi enti territoriali,
di associazioni, singoli o privati».
La predetta giurisprudenza va nella direzione delle numerose
decisioni secondo le quali le associazioni ecologiste,
(ancorche´ non riconosciute ex art. 13, legge n. 349/
1986), sarebbero comunque gia` state legittimate in via
autonoma e principale all’azione di risarcimento per il
danno ambientale e, quindi, a costituirsi parte civile nel
processo penale, quando siano, in base al loro statuto,
portatrici di interessi ambientali, territorialmente delimitati,
in modo concreto lesi dalla attivita` illecita (11).
Tali aspetti paiono sempre riguardare i profili soggettivi
del «danno all’ambiente» vero e proprio, e non devono
essere confusi con la previsione di cui all’art. 313, comma
7, D.Lgs. n. 152/2006, ove viene detto che:
«Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati
dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro
salute o nei beni di loro proprieta` , di agire in giudizio nei
confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi
lesi».
Il legislatore, al comma 7 dell’art. 313, parla infatti del
«danno a singoli beni lesi dal fatto produttivo di danno
ambientale», come tali distinti da quest’ultimo ed oggetto
di separata tutela in base alle norme codicistiche ordinarie
(12), anche se limita incomprensibilmente l’ambito
di tali diritti tutelabili in via ordinaria alla salute ed alla
proprieta` .
Accanto quindi alla dimensione di interesse diffuso o
collettivo del danno all’ambiente, si riaffaccia una concezione
di tale istituto rilevante come vero e proprio diritto
dell’individuo, del quale lo Stato non pare quindi
potersi farsi esclusivo portatore, e per cui parrebbe invece
residuare una legittimazione attiva degli individui e
degli enti che si affianca a quella del soggetto pubblico.
Come la «componente soggettiva» del danno ambientale
trovera` tutela giudiziale nel nuovo regime rimane pertanto
un punto aperto.
ta di fatto che la sua riproposizione stride con quello che
si vorrebbe essere un tendenziale «monopolio» del Ministero
dell’Ambiente nell’attivare l’azione di risarcimento
del danno all’ambiente, monopolio per il cui perseguimento
si e` comunque deciso di espungere gli enti territoriali
dai soggetti legittimati a promuovere l’azione di
risarcimento del danno all’ambiente.
Il documento
I. Corte di Cassazione Penale, sez. III- sentenza 15 gennaio 2007, n. 544
- Omissis -
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto 22 settembre 2004, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia ha disposto l’archiviazione
di un procedimento instaurato a carico di ignoti per il reato previsto dall’art. 51 D.Lgs. n. 22/1997.
L’archiviazione non e` stata preceduta dall’avviso ex art. 408, c.p.p. alla associazione «Verdi Ambiente e societa`
Note:
(10) Si veda:
– A. Bressan, Ambiente Consulenza e pratica per l’impresa, 1997,12, pag.
992
(11) Si vedano:
– Cass. pen sez. III, sent. 3 ottobre 2006, n. 1510.
In precedenza, si veda:
– Cass. pen., sez. III, 19 novembre 1996, n. 9837.
(12) Ex plurimis Cass. pen. sez. III, sentenza 15 gennaio 2007, n. 554.
Testo Unico
Legittimazione ad agire
AMBIENTE & SVILUPPO
580 7/2007
Onlus». Secondo la tesi del Pubblico Ministero, condivisa dal Giudice, il sodalizio poteva solo, a sensi dell’art. 18,
Legge n. 349/1986, costituirsi parte civile o, a sensi dell’art 9, comma 3, D.Lgs. n. 267/2000, proporre le azioni
risarcitorie di competenza del Giudice ordinario che spettano al Comune o alla Provincia; l’associazione non era
facoltizzata ad intervenire nel procedimento con la procedura dell’art. 91 c.p.p. e, di conseguenza, non poteva
esercitare i diritti e le facolta` della persona offesa anche per mancanza del consenso della stessa richiesto dall’art.
92, comma 1, c.p.p..
Per l’annullamento del decreto, ricorre in Cassazione il legale rappresentante della associazione «Verdi Ambiente e
societa` Onlus» (riconosciuta a sensi dell’art. 13, Legge n. 349/1986) deducendo violazione dell’art. 408 c.p.p. e
formulando censure inerenti alla possibilita` del sodalizio di partecipare al processo secondo il disposto dell’ art. 91
c.p.p.; tali deduzioni sono fondate.
Deve, innanzi tutto, premettersi come non sia pertinente al caso il richiamo all’art. 9, D.Lgs. n. 267/2000 che mira a
disciplinare la cd sostituzione processuale delle associazioni ambientaliste nei giudizi di danno di competenza del
Giudice ordinario che spettano al Comune o alla Provincia.
Cio` in quanto la problematica che il ricorso pone concerne la verifica dello assunto del Pubblico Ministero, fatto proprio
dal Giudice, secondo il quale la legge n. 349/1986 riconosce alle associazioni ambientaliste la unica possibilita` di
costituirsi parte civile nel processo penale, ma non di esercitare le facolta` della persona offesa.
La conclusione non e` condivisibile.
Le associazioni ecologiste, secondo la giurisprudenza prevalente, ancorche´ non riconosciute ex art. 13 Legge n. 349/
1986, sono legittimate in via autonoma e principale all’azione di risarcimento per il danno ambientale e, quindi, a
costituirsi parte civile nel processo penale quando siano, in base al loro statuto, portatrici di interessi ambientali,
territorialmente delimitati, in modo concreto lesi dalla attivita` illecita (ex plurimis Cass. sez. terza, sentenza n. 33887/
2006).
Inoltre, l’art. 18. comma 5, Legge n. 349/1986 recita che «Le associazioni individuate in base all’art. l3 della presente
legge possono intervenire nei giudizi di danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa......».
La previsione legislativa, introdotta in epoca anteriore alla entrata in vigore del codice di rito 1989, deve essere
armonizzata sistematicamente con gli attuali istituti processuali alla luce dell’art. 212 delle norme di coordinamento;
quando una legge, in epoca antecedente al 24 ottobre 1989, permette l’intervento nel processo anche al di fiori della
costituzione di parte civile, e` consentito solo l’intervento nei limiti ed alle condizioni di cui all’art. 91 ss., c.p.p.
Di conseguenza, si deve ritenere che sussistono due differenti istituti che consentono l’accesso al giudizio penale di
formazioni sociali ambientaliste portatrici di interessi superindividuali tali sodalizi, quando sussistano i presupposti di
legge, possano costituirsi parti civili oppure possono intervenire nel processo a sensi dell’art. 91 c.p.p., con poteri
identici a quelli della persona offesa al cui consenso e` subordinato l’esercizio dello intervento stesso.
Il «costante consenso della persona offesa» e` un requisito per la legittimazione processuale degli enti e delle
associazioni.
Sul punto, non puo` condividersi la tesi sostenuta dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta (confortata da
una sentenza della Cassazione -Sezione quinta, sentenza n. 2361/1996- che, tuttavia, non affrontava un caso sovrapponibile
a quello in esame); secondo questa prospettazione, la Legge n. 349/1966 ha offerto un generale e preventivo
consenso alle associazioni, che assecondano l’attivita` ecologista dello Stato, ad intervenire nel processo per cui quello
delle persone offese, previsto dall’art. 92, comma 1, c.p.p., non e` necessario in quanto presunto di diritto.
Ora e` vero che la Legge n. 349/1986 consentiva l’ingresso nel processo senza la necessita` del consenso delle
persone offese. Tuttavia, come si e` accennato, l’art. 212 delle norme di coordinamento ha espressamente enunciato
che tutte le forme atipiche di intervento nel processo siano ricondotte nei «limiti ed alle condizioni» di cui agli artt. 91
ss., c.p.p.; ne´ la Legge n. 349/1986 poteva introdurre, con un consenso generalizzato prestato una tantum, una
eccezione relativa ai requisiti di accesso nel giudizio penale per una figura processale all’epoca inesistente.
In ragione della inequivoca enunciazione dell’art. 92, comma 1, c.p.p., la Corte ritiene che anche le associazioni
ambientaliste, al fine che rileva, necessitino del consenso da parte della persona offesa, se individuabile, o da parte
dell’ente territoriale competente.
Nel caso concreto, la associazione «Verdi Ambiente e societa` Onlus» non era legittimamente intervenuta nel procedimento
in carenza del necessario consenso della persona offesa per cui l’avviso della richiesta di archiviazione non le
era dovuto.
P.Q.M.
- Omissis -
Testo Unico
Legittimazione ad agire
AMBIENTE & SVILUPPO
7/2007 581
II. Corte di Cassazione Penale, sez. III - 3 novembre 2006, sentenza n. 36514
- Omissis -
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
Con sentenza del 18 maggio 2005 la Corte di Appello di Perugia confermava la sentenza 5 luglio 2004 del Tribunale
monocratico di quella citta` , che aveva affermato la responsabilita` penale di C.E., F.G. e P.C. in ordine al reato di cui:
– al D.Lgs. n. 490 del 1999, artt. 151 e 163, per avere - nelle rispettive qualita` di direttore generale della Comunita`
Montana Monti del Trasimeno, direttore ed esecutore dei lavori - eseguito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
opere per la realizzazione di una pista ciclabile in difformita` da quanto stabilito da una conferenza di servizi del
17 maggio 1998 e dal documento istruttorio dell’Ufficio urbanistica e beni ambientali della Regione Umbria,
procedendo al non autorizzato (ed anzi espressamente vietato) abbattimento di n. 9 pioppi e n. 37 salici - acc. in
Castiglione del Lago, il 4 maggio 2001 e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato ciascuno
alla pena di giorni 20 di arresto ed Euro 11.000,00 di ammenda - ordinando la rimessione in pristino dello
stato originario dei luoghi e concedendo i doppi benefici - nonche´ al risarcimento solidale dei danni cagionati alla
costituita parte civile W I., da liquidarsi in separata sede.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione
di legge e del vizio di motivazione:
1) l’erroneo disconoscimento del legittimo impedimento di esso difensore (occupato in altra attivita` professionale) a
presenziare all’udienza del 18 maggio 2005;
2) la intervenuta estinzione del reato, in seguito al rilascio, in data 12 maggio 2005, da parte del Comune di Castiglione
del Lago, di un provvedimento di accertamento di compatibilita` ambientale, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 42 del
2004, art. 181, comma 1 ter;
3) la incongrua affermazione dell’esistenza di continuita` normativa tra le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999,
art. 163, ed al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181;
4) la insussistenza del reato in quanto, negli atti autorizzatori rilasciati per la realizzazione della pista ciclabile, il divieto
di abbattimento avrebbe riguardato esclusivamente «le piante di alto fusto in eta` matura», piante che tuttavia gli
esecutori dell’opera avrebbero potuto anche abbattere in carenza di condizioni idonee a consentire spostamenti di
percorso;
5) la mancanza di prove in ordine all’attribuibilita` dei fatti a ciascuno degli imputati;
6) il difetto di «legitimatio ad causam» della costituita parte civile e l’infondatezza della condanna degli imputati al
risarcimento del danno in favore della stessa.
Il difensore della parte civile ha depositato memoria in data 22 settembre 2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve rilevarsi, anzitutto, che non puo` trovare applicazione il disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1
ter, poiche´ - come documentalmente dimostrato dal difensore di parte civile - l’accertamento di compatibilita` ambientale
emesso in data 12 maggio 2005 dal Comune di Castiglione del Lago e` stato «revocato» con successivo
provvedimento del 7 luglio 2005, per non essere stato acquisito preventivamente il prescritto parere della competente
Soprintendenza. 2. Le deduzioni svolte dai ricorrenti (nel quinto motivo di ricorso) in punto di individuazione delle
rispettive responsabilita` personali - pur non sussistendo le condizioni per una piu` favorevole pronuncia nel merito, ex
art. 129 c.p.p. - non sono manifestamente infondate. L’impugnata sentenza, pero` , deve essere annullata senza rinvio,
poiche´ il reato e` estinto per prescrizione.
Trattasi, infatti, di contravvenzione accertata il 4 maggio 2001, sicche´ il termine massimo prescrizionale (di anni 4 e
mesi 6, ex art. 157 c.p. e ex art. 160 c.p., u.c.) - nell’assenza di sospensioni - si e` definitivamente compiuto il 4
novembre 2005.
3. In ordine alle statuizioni relative all’azione civile va evidenziato quanto segue:
– questa Corte Suprema, sul presupposto che il danno ambientale non consiste soltanto in una compromissione
dell’ambiente in violazione di leggi specifiche bensı` pure, contestualmente ed inscindibilmente, in una «offesa
della persona umana nella sua dimensione individuale e sociale», ha affermato che la legittimazione a costituirsi
parte civile non spetta solo ai soggetti pubblici (attualmente, ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 311,
comma 1, essendo stato espressamente abrogata la Legge n. 3439 del 1986, art. 18, titolare esclusivo della
Testo Unico
Legittimazione ad agire
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582 7/2007
pretesa risarcitoria in materia di danno ambientale e` lo Stato nella persona del Ministro dell’Ambiente), in nome
dell’ambiente come interesse pubblico, ma anche alla persona singola o associata, in nome dell’ambiente come
diritto fondamentale di ogni uomo e valore di rilevanza costituzionale (vedi Cass. sez. III:19 novembre 1996, n.
9837, Locatela e 23 novembre 1989, n. 16247, Castaldi);
– la parte civile W. I., pero`, e` coinvolta direttamente nella vicenda con profili spiccatamente personali perche´, in
relazione ai lavori in oggetto, e` stata interessata da occupazione di urgenza di un proprio fondo disposta dal
Comune di Castiglione del Lago con decreto n. 33810 del 28 dicembre 2000 (vedi verbale in atti di stato di
consistenza della relativa area ed immissione dell’Amministrazione comunale nel possesso della stessa);
– la oggettiva illiceita` dell’abbattimento delle piante indicate nel capo di imputazione non e` revocabile in dubbio,
tenuto conto del sicuro contrasto con gli atti autorizzatoli rilasciati per la realizzazione della pista ciclabile, evidenziato
con motivazione logica, coerente ed esauriente dai giudici del merito. Tale abbattimento cagiona un’alterazione
del paesaggio potenzialmente idonea a compromettere, anche sotto il profilo patrimoniale, le caratteristiche
del fondo di proprieta` della W.;
– ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non e` necessario
che il danneggiato dia la prova della effettiva sussistenza dei danni e del nesso di causalita` tra questi e l’azione
dell’autore dell’illecito, ma e` sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze
dannose: la suddetta pronuncia, infatti, costituisce una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento
relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale e` rimesso al giudice della liquidazione (vedi Cass.
pen. sez. I, 18 marzo 1992, n. 3220; sez. IV, 15 giugno 1994, n. 7008; sez. VI, 26 agosto 1994, n. 9266);
– la facolta` del giudice penale di pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno, prevista dall’art. 539
c.p.p., non incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul quantum, bensı` trova implicita
conferma nei limiti dell’efficacia della sentenza penale nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del
danno fissati dall’art. 651 c.p.p., escludendosi, percio` , l’estensione del giudicato penale alle conseguenze economiche
del fatto illecito commesso dall’imputato (vedi Cass. pen., sez. IV, 26 gennaio 1999, n. 1045);
– la condanna generica al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice
riconosca che la parte civile vi ha diritto, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno
risarcibile, ma postula soltanto l’accertamento della potenziale capacita` lesiva del fatto dannoso e della probabile
esistenza di un nesso dı` causalita` tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione
del quantum la possibilita` di esclusione dell’esistenza stessa di un danno unito da rapporto eziologico con il fatto
illecito (vedi Cass. civ. sez. III, 11 gennaio 2001, n. 329).
Devono confermarsi, pertanto, le statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata ed i ricorrenti devono essere
condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali di questo grado di giudizio a favore della costituita parte
civile, che si liquidano in complessivi Euro 1.050,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
- Omissis -
Testo Unico
Legittimazione ad agire
AMBIENTE & SVILUPPO
7/2007 583

lunedì 8 ottobre 2007

LAMPEGGIANTI BLU ....ORA SI PUO'

Si è fatta finalmente luce sulla questione in oggetto, cioè sulla famosa circolare del Dott. Dandolini.
Di seguito il chiarimento di Bertolaso che dichiara leggittimo l'uso dei lampeggianti blu.
Risposta del D.P.C. sulla circolare DondoliniOggetto: Circolare emessa dal Ministero delle infrastrutture e trasporti prot. Div6 57014 del 14.06.2007.
Si fa riferimento alla nota di codesta organizzazione, pervenuta allo scrivente in data 22 agosto 2007, con la quale è stata rappresentata la problematica emersa a seguito dell'emanazione della circolare prot. Div6 57014 deI 14.06.2007, emessa dal Ministero dei Trasporti, a firma del Direttore Generale Sergio Dondolini, avente ad oggetto "i soggetti legittimati, ai sensi dell'art. 177 c.d.s., all'utilizzo dei dispositivi supplementari di segnalazione visiva a luce lampeggiante blu e dei dispositivi acustici supplementari di allarme".
A tal riguardo, si comunica che 1o scrivente Dipartimento ha tempestivamente provveduto a rappresentare al Ministero dei Trasporti le conseguenze che potrebbero derivare dall'interpretazione dell'art. 177 c.d.s contenuta nella predetta circolare che, riconoscendo solamente ai soggetti pubblici la facoltà di utilizzare i dispositivi di segnalazione di emergenza, vieta espressamente agli organismi privati (Associazioni di volontariato, Istituti di vigilanza privata, ecc.) l'utilizzo dei suddetti dispositivi.
E' stato, infatti, rilevato, a tal proposito, come l'applicazione della circolare del 14.06.2007 implicherebbe una vera e propria modificazione, in via interpretativa, del primo comma dell'art 177 c.d.s, compromettendo significativamente la partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di protezione civile.
In considerazione di quanto rappresentato da questo Dipartimento, il Ministero dei Trasporti con nota del 31.08.2007, indirizzata al Direttore della motorizzazione civile Ing. Dondolini, ed inviata per conoscenza allo scrivente, ha sollecitato il competente Ufficio a modificare la circolare in questione.
Pertanto, alla luce di quanto rilevato dallo stesso Ministero dei Trasporti, che ha espressamente indicato nella predetta nota come "le sanzioni previste per l'inosservanza dell'art. 177 non potrebbero comunque essere irrogate ai soggetti privati, in quanto l'art. 4 della L. 689/l9BI prevede espressamente, come causa di esclusione di responsabilità per le violazioni amministrative, 1o stato di necessità"si dedurne che, nelle more della prevista rettifica della circolare del 14.06.2006, le organizzazioni di volontariato che svolgono servizi di protezione civile, nonché gli organismi privati esercenti attività di soccorso sanitario, possano continuare ad utilizzare legittimamente i dispositivi di segnalazione di emergenza di cui all'art. 177 c.d.s..
IL CAPO DEL DIPARTIMENTO (Guido BERTOLASO)

Funzioni di PG della Vigilanza Volontaria

Presidente Postiglione – Relatore Teresi
Pm Salzano – Ricorrente Pg in proc. Lancellotti

Si Osserva

Con ordinanza in data 26 settembre 2005 il Tribunale del riesame di Salerno annullava il decreto di convalida di sequestro emesso dal Pm il 6 settembre 2005 ed ha ordinato la restituzione in favore di Lancellotti Giovanni, indagato del reato di cui agli articoli 2, comma 1 lettera c) e 30 comma 1 lettera b) legge 157/92, del fucile da caccia calibro 12, e di una cartucciera con 20 cartucce allo stesso sequestrati.

Riteneva il Tribunale che il sequestro fosse stato illegittimamente operato da guardie volontarie del WWF alle quali la legge 157/92 non riconosce il relativo potere.

Proponeva ricorso per cassazione il Pm denunciando violazione di legge; mancanza e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere il Tribunale escluso che gli agenti del WWF possano procedere a sequestro nella materia venatoria e chiedendo l’annullamento dell’
ordinanza.

Il ricorso è fondato alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui le guardie volontarie delle associazioni di protezioni dell’ambiente riconosciute dal ministero dell’Ambiente (come il WWF) hanno la qualifica di agenti polizia giudiziaria

- «perché la legge 157/92 espressamente attribuisce ad esse un compito di vigilanza venatoria sulla “applicazione della presente legge” compreso l’articolo 30 relativo alle sanzioni penali (vedi articolo 27 lettera d));

- perché l’articolo 20 stessa legge nel definire poteri e compiti degli addetti alla vigilanza venatoria ricomprende sia il potere ispettivo (la richiesta di esibizione della licenza di porto del fucile per uso di caccia; la richiesta di esibizione del tesserino rilasciato dalla Regione; la richiesta del contrassegno di assicurazione), sia il potere di controllo della fauna abbattuta o catturata (vedi articolo 28 comma 1) e il potere di accertamento (redazione del verbale) (articolo 28 comma 5);

- perché la qualifica di polizia giudiziaria a favore delle guardie volontarie non richiedeva una specifica menzione, essendo tali soggetti competenti solo per la materia venatoria, mentre appariva necessaria per altri soggetti pure menzionati nella legge aventi competenza generale;

- perché nel contenuto degli articoli 55 e 57 Cpp “il prendere notizia dei reati” è collegato logicamente in via funzionale al dovere di “impedire che vengano portati a ulteriori conseguenze” e ciò sembra debba valere anche per le guardie venatorie, naturalmente solo nei limiti del servizio cui sono destinate, anche per una esigenza operativa essenziale nella specifica materia, onde assicurare gli elementi probatori, evitarne la dispersione ed impedire che l’azione antigiuridica possa proseguire (in tal senso si esprime anche la nota 28 marzo 1994, prot. 1467/44/6 Ul del ministero di Giustizia)» (Cassazione, Sezione terza 1151/98 rv 211205).

Ne consegue che il sequestro del fucile e delle cartucce è stato legittimamente operato nell’esercizio dei poteri assegnati alle guardie volontarie delle associazioni di protezione dell’ambiente riconosciute dal ministero dell’Ambiente nella materia venatoria.

L’ordinanza va annullata senza rinvio, sicché rivive il provvedimento annullato.

PQM

La Corte annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

(Sezione terza (cc), sentenza n.6454/06; depositata il 21 febbraio)